martedì 2 dicembre 2014

il plurilinguismo costa poco ed è redditizio

Le lingue dell'Europa. L'uso di tutte le espressioni nazionali costa poco e porta vantaggi all'Unione.
Il falso mito dell'inglese: né democratico né redditizio
di Michele Gazzola
Corriere della Sera, La Lettura, 30.11.2014 pag. 5

L’intervista rilasciata da Tullio De Mauro al «Corriere della Sera» il 3 novembre ha il merito, fra le altre cose, di sollevare la questione della lingua nella costruzione di una democrazia transnazionale europea. Alcuni osservatori ritengono che puntare su un`unica lingua, segnatamente l`inglese, sia la scelta giusta per permettere l`emergere di, uno spazio pubblico europeo e di un sentimento di solidarietà continentale. È lecito essere scettici a riguardo. La tesi secondo cui una democrazia ha bisogno di una lingua comune per funzionare, nella filosofia moderna, rimonta a John Stuart Mill. Si tratta però di un'idea che non ha valenza generale e che non si è dimostrata adatta a tutte le circostanze.
Le democrazie per funzionare hanno bisogno di una comunicazione efficace e inclusiva, il che non richiede necessariamente una sola lingua in comune. La Svizzera mostra che è possibile avere una democrazia multilingue solida ed economicamente rigogliosa. Il caso spagnolo e belga mostrano invece che volere imporre una lingua nazionale sulle altre rischia di generare tensioni sociali e politiche.
Nell'Unione Europea l`inglese è la lingua materna di circa il 13% dei cittadini. L`inglese quindi non è e non può essere una lingua «neutra» come il latino medievale o l`esperanto, con buona pace di chi crede nel «globish». In una Europa anglofona i madrelingua inglese godrebbero di vantaggi indiscutibili, e per molti versi inaccettabili. Un esempio? La posizione egemone dell`inglese in Europa frutta al Regno Unito circa un punto di PIL all'anno come esito del risparmio sulle spese di insegnamento delle lingue straniere e sulle traduzioni, ed essa permette ai Paesi al di là della Manica di attirare più facilmente personale altamente qualificato e studenti rispetto agli altri Stati europei. La preminenza di questa lingua a livello europeo comporta inoltre numerosi vantaggi strategici nella comunicazione istituzionale. Il 40% circa dei portavoce della Commissione uscente erano madrelingua inglese, più di tre volte la percentuale dei nativi anglofoni nell'Unione.
Più in generale vi è una fondamentale questione di inclusione, giustizia e partecipazione democratica dietro il tema della lingua nel processo di costruzione di una federazione europea, e nessuno ha mai chiarito in che modo la promozione dell'inglese come unica lingua comune gioverebbe alla causa della democrazia continentale e alla solidarietà fra popoli. Se bastasse una lingua unica come l'inglese per renderci «più europei», i britannici dovrebbero già essere i maggiori sostenitori dell'Europa unita. Il 56% dei tedeschi e 51% dei greci dichiara di avere una conoscenza almeno scolastica dell'inglese, ma ciò non ha impedito che in occasione dello scoppio della crisi del debito nella zona euro sorgesse una reciproca e profonda diffidenza fra le opinioni pubbliche dei due Paesi.
Diversi studi invece mostrano che l'utilizzo prevalente dell'inglese come lingua unica in Europa per le faccende politiche ed economiche ostacola la costruzione di una vera democrazia europea più di quanto non la favorisca. L'inglese è infatti una lingua conosciuta molto bene solo da una esigua minoranza dei cittadini europei. Nonostante decenni di insegnamento nelle scuole solo il 7-8% della popolazione europea non madrelingua inglese dichiara di avere una conoscenza molto buona di questa lingua, cioè una competenza linguistica adeguata a partecipare alle attività politiche in una democrazia anglofona. Non ci sono grandi differenze tra le generazioni, mentre la conoscenza tende a concentrarsi fra i cittadini europei appartenenti alle fasce della popolazione più istruite e con reddito da lavoro più elevato. Insomma una politica monolingue creerebbe diseguaglianze fra Stati membri e fra ceti sociali, alimentando sentimenti di lontananza verso le istituzioni europee.
La politica multilingue dell'Ue, il rispetto delle diversità e un diffuso insegnamento di diverse lingue europee nelle scuole e nelle università, invece, rendono possibile una gestione più efficace e inclusiva della comunicazione transnazionale europea. Non ci si lasci ingannare dalla prospettiva di una immensa e improbabile agorà transnazionale. Gli europei continuano e continueranno a lungo a vivere e lavorare all'interno dei confini geografici e mentali degli stati nazionali. La situazione tipica che si osserva in pratica non è quella di un calabrese che dibatte di austerità fiscale con uno slovacco, ma quella di un calabrese che discute con un campano degli effetti sull'economia italiana del rigore fiscale tedesco. Avere informazioni in italiano su quello che accade nelle istituzioni a Bruxelles o Francoforte e sapere un po' di tedesco, in questo caso, è quello che serve.
Durante la scorsa primavera, i maggiori candidati alla presidenza della nuova Commissione europea hanno tenuto dibattiti televisivi, a seconda delle circostanze, in francese, inglese, tedesco, e tali dibattiti sono stati spesso interpretati in altre lingue dell`Unione, incluso l'italiano.
Purtroppo dalla scuola italiana non vengono segnali incoraggianti. La politica linguistica adottata nel 2008 dal ministro Gelmini ha introdotto il cosiddetto «inglese potenziato» nelle scuole medie, cioè la possibilità di sottrarre le ore per la seconda lingua comunitaria per aumentare il monte ore destinato all'inglese. Si tratta di una politica linguistica che andrebbe abbandonata perché ostacola lo sviluppo di competenze multilingui.
Investire su lingue quali tedesco o francese è strategico non solo per i motivi legati alla costruzione europea di cui si è già detto, ma anche per motivi commerciali. In primo luogo, Germania e Francia sono le principali destinazioni delle esportazioni italiane. Inoltre, l'inglese non è l`unica lingua a essere remunerata sul mercato del lavoro. Secondo alcuni recenti studi sulla redditività delle competenze linguistiche sul mercato del lavoro europeo, in Italia la conoscenza del tedesco e del francese, in termini di reddito individuale, rende di più in percentuale rispetto all'inglese, e questo accade proprio perché si tratta di competenze più rare e quindi più remunerate.
Va detto che il problema non è l'inglese in sé, ma l'egemonia di una lingua ufficiale dell'Unione sulle altre. Le istituzioni europee nate dopo la fine della Seconda guerra mondiale sono state create proprio con l'intento di neutralizzare le spinte egemoniche di un Paese sugli altri delegando alcuni poteri a istituzioni comuni sovranazionali che rappresentano tutti gli Stati membri. Il multilinguismo istituzionale non è altro che il corollario linguistico di questa idea. A chi obietta che garantire la comunicazione nelle 24 lingue ufficiali dell`Unione è troppo caro va fatto notare che il multilinguismo costa ai contribuenti solo lo 0,0085% del PIL dell'insieme dei 28 Stati membri, meno dell'1% del bilancio delle istituzioni europee e poco più di due euro all'anno a cittadino. E difficile ritenere che si tratti di costi insostenibili, specialmente se confrontati con i costi delle diseguaglianze di un'Europa monolingue.

• Michele Gazzola è dottore di ricerca in Gestione della comunicazione multilingue all`Università di Ginevra e ricercatore «Marie Curie» in Economia linguistica all`Università Humboldt di Berlino, dove dirige un progetto sulle politiche linguistiche e la giustizia linguistica nell`Ue (www.michelegazzola.com).

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lunedì 1 dicembre 2014

10 dicembre. Assemblea generale SGST

Dal pomeriggio di lavoro svolto nella nostra sede sabato 22 novembre, è emersa una serie di analisi, critiche e proposte che proviamo a sintetizzare qui sotto, invitandovi a valutarle ed eventualmente commentarle.



Mercoledì 10 dicembre alle ore 18.00

è convocata 
l'assemblea generale di SGST-Fenalt

per deliberare, a partire dalle proposte emerse, il documento di indirizzo su cui costruire le prossime iniziative sindacali e politiche: un documento che definisca le linee della nostra azione nei confronti dei colleghi, dell'amministrazione, degli altri sindacati e dell'opinione pubblica.


E' un momento importante per cui - ancora una volta - raccomandiamo tutti gli iscritti di fare il possibile per partecipare.


Vi aspettiamo.


nz e ag


0. Considerazioni generali

SGST-Fenalt non è e non vuole essere un sindacato di retroguardia: la nostra non è una posizione conservatrice e di sterile opposizione.

Al contrario, proprio perché consapevoli delle reali dinamiche educative e organizzativa che segnano la scuola trentina, noi siamo i primi a voler contribuire a cambiare la scuola.

Non ci basta tuttavia che "in qualche modo" cambi "qualcosa": 
serve immaginare un disegno complessivo, di ampio respiro e di lunga durata,
serve uscire dalla logica di breve periodo delle riforme affastellate e contraddittorie, realizzate in fretta e furia sull'onda delle esigenze di bilancio o delle mode pedagogiche o dell'ideologia politica degli amministratori.



1. NO al Trilinguismo, Sì al Plurilinguismo

SGST-Fenalt, criticando - nel metodo e nel merito - il "Piano Provinciale per il Trilinguismo" recentemente approvato dalla Giunta Provinciale, è favorevole a un piano per il potenziamento delle competenze linguistiche che parta da un confronto democratico e attento alle esigenze didattiche e culturali presenti nella scuola trentina e costituisca un tassello fondamentale di una scuola pubblica inclusiva, di qualità, laica, moderna ed efficace, 

SGST-Fenalt avanza le seguenti richieste e proposte:
  • Sia superata l'ideologia del trilinguismo, culturalmente misera e ottusa, e si passi a un vero plurilinguismo, come espressione di una cultura aperta e cosmopolita.
  • Sia garantita la possibilità di insegnare e imparare tutte le lingue (non soltanto inglese e tedesco) rispettando da un lato la libertà di scelta di studenti e famiglie e dall'altro l'autonomia delle Istituzioni scolastiche.
  • siano adeguate, garantite e potenziate  tutte le forme dell'inclusione rivolte ai soggetti più deboli o svantaggiati 
  • siano resi pubblici i risultati delle sperimentazioni linguistiche degli ultimi dieci anni 
  • sia fatta chiarezza dei sistemi e definizioni dei metodi didattici (clil, immersione linguistica, etc.)
  • ogni iniziativa prevista per il potenziamento delle competenze linguistiche sia realizzata mantenendo o migliorando i livelli di occupazione nella scuola trentina,  aumentando le ore di organico a disposizione delle istituzioni scolastiche e non ledendo i legittimi interessi dei  docenti 
  • sia ridotto al minimo indispensabile e soltanto in forma transitoria il ricorso a personale non abilitato e vengano previste adeguate trasparenti graduatorie anche per i docenti madrelingua
  • venga stabilito una quadro di riferimento per il riconoscimento del tempo di lavoro aggiuntivo dei docenti coinvolti (programmazione collegiale, formazione, diversificazione della didattica etc.)
  • l'introduzione della metodologia CLIL sia fatta gradualmente ( a partire dalla primaria verso la scuola superiore, a partire da moduli extracurricolare e facoltativi verso l'integrazione nei piani di studio) e senza forzature, in coerenza col percorso formativo degli studenti e comunque garantendo i livelli didattici e contenutistici delle specifiche discipline coinvolte
  • siano stabiliti dei criteri e delle priorità nella scelta delle discipline coinvolte nell'introduzione della metodologia CLIL
  • siano affrontati i nodi didattici e organizzativi relativi all'esame di stato

2. Organizzazione oraria del lavoro docente


SGST-Fenalt, ribadisce che gli insegnanti trentini non si debbano rassegnare a un sistema (organizzazione, contratto, ecc.) che li carica di un supplemento di lavoro non pagato in costante e progressivo aumento. 

In prospettiva, perciò, resta prioritario rimettere in discussione la logica secondo cui i docenti devono lavorare (e lavorare gratuitamente) anche oltre alle ore di didattica in classe e alle ore implicate dalla funzione docente. 
E' soltanto in questa prospettiva che devono essere considerate entrambe le seguenti ipotesi emerse nel dibattito:

a) Ritorno a contratto e stipendio nazionale (circa 150-200 euro in meno?)
  • 18h da 60min per lezioni in classe + attività funzione docente (collegi docenti, consigli di classe, udienze generali)
  • Tutti i progetti e tutte le altre attività vengono pagati extra
b) Cartellino con ore certificate
  • Per la primaria: max 22 ore da 60 minuti per lezioni in classe + 14 ore da 60 minuti per altre attività preventivate e misurate (supplenze, compresenze  etc.)
  • Per la SSPG: max 18 ore da 60 minuti per le lezioni in classe + 18 ore per altre attività preventivate e misurate (supplenze, compresenze  etc.)
  • per la SSSG: max. 18h da 50min per lezioni in classe + 21h da 60min così suddivise: programmazione, preparazione e correzione (min. 10 ore per discipline senza verifiche scritte; min. 12 ore per discipline con verifiche scritte); funzione docente; aggiornamento; altro fino al completamento delle 21 ore
  • Come per il restante personale provinciale il cartellino inizia a segnare il tempo di lavoro da quando il docente entra a scuola
  • Le ore “buche sono ore svolte in servizio, quindi conteggiate a tutti gli effetti (salvo che non si abbandoni ledificio scolastico per poi rientrare).
  • La scuola mette a disposizione tutti i propri locali per lattività pomeridiana dei docenti (aule di dipartimento, laboratori, aule di informatica) e prevede l'allestimento di spazi adeguati per il lavoro individuale.
  • Ogni docente che torni al lavoro nel pomeriggio ha diritto al buono pasto
  • Fatta eccezione per la didattica e gli impegni collegiali, gli orari devono essere flessibili e il monte ore deve essere conteggiato a fine mese.
Nota a margine sull'effetto psicologico: alcuni colleghi rilevano giustamente che il cartellino attenta al prezioso tempo libero dei docenti e soprattutto alla libera organizzazione del tempo; altri colleghi invece, mettono in evidenza come lattuale situazione ibrida, senza limiti chiari, porti i docenti a essere considerati sempre potenzialmente in servizio, quindi mai nella condizione di distinguere nettamente tra tempo lavorativo e tempo privato, finendo per inquinare pericolosamente il secondo con il primo.

Seconda nota a margine: nelle scuole primarie le lezioni pomeridiane (fino alle 16.00-16.30) sono la regola; in molte SSPG ci sono pomeriggi obbligatori (anche fino alle 17.00); ma anche negli istituti tecnici e (nei pochi) professionali i pomeriggi (di lezione) sono una realtà...



3. Valutazione e carriera dei docenti

SGST-Fenalt, continuando una battaglia che conduce da anni, 
nell'ottica di una generale valorizzazione della professione docente e 
nel tentativo di immaginare strumenti che consentano di evidenziare e riconoscere qualità e meriti, individuali e collegiali e in pari tempo di individuare eventuali carenze e fragilità, 

dice:
  • sì alla valutazione dei docenti 
  • sì a valutazioni plurali e intrecciate: questionari degli studenti, autovalutazione degli organi collegiali, valutazione di esperti esterni
  • sì alla valorizzazione professionale attraverso la differenziazione delle funzioni all'interno delle istituzioni scolastiche
  • sì al riorientamento professionale all'interno del sistema formativo provinciale
  • sì alla formazione efficace e mirata all'acquisizione di strumenti e competenze specifiche
  • no alle percentuali di merito prefissate (es. 66% - 33% della proposta del Governo)
  • no al rapporto diretto valutazione / retribuzione
  • no a comitati interni di valutazione
  • no alla valutazione da parte del dirigente
SGST-Fenalt ribadisce però, quali condizioni imprescindibili per una valutazione dei docenti: 
  • contratti a tempo indeterminato,
  • condizioni di lavoro adeguate (serve una riorganizzazione e un ripensamento di orari, classi, studenti, verifiche…)


4. Territorialità


  • NO  al vincolo di iscrizione per bacino di utenza: per Nessun ordine di scuola